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A tu per tu con Enrico Crippa

Lo chef quattro stelle Michelin ci spiega come ha organizzato lavoro nel suo ristorante Piazza Duomo e che rapporto ha con la sua brigata

Il 2022 è indubbiamente l’anno di Enrico Crippa, chef quattro volte premiato – anche con la stella verde della sostenibilità – dalla Guida Michelin per il suo ristorante Piazza Duomo, ad Alba, in Piemonte. Inconfondibile per il suo baffo sempre ben curato, Enrico porta avanti da anni un plurilaureato sodalizio con la Famiglia Ceretto ed il territorio delle Langhe che consacra nella costruzione dei suoi menu. I suoi piatti sono vere e proprie opere d’arte edibili, dinamiche e sorprendenti, che stupiscono nonostante, tante volte, la nobile miseria della materia prima che arriva fresca dall’orto di Piazza Duomo, la tavolozza del ristorante. 

CrippaBuongiorno Chef, come sta? Prima di passare a chiederle nel dettaglio come sta andando questo 2022, croce e delizia di tanti chef e ristoratori, vogliamo sapere da lei qual è il segreto di un così lungo sodalizio che da anni ormai, correvano gli anni 2000, intrattiene con i Ceretto?

Sicuramente è un rapporto d’altri tempi basato sulla trasparenza e sulla fiducia accompagnati dal comune sentimento che ci porta a credere gli uni negli altri. Sin dal primo incontro con il signor Bruno ci siamo intesi e compresi. Io ero un giovane chef che non aveva mai intrapreso una carriera autonoma, i Ceretto anche erano esordenti nel mondo della ristorazione ma in comune l’idea era di raccontare le eccellenze e portare una visione nuova sulla cucina del territorio e che potesse servire da esempio e stimolo per tanti giovani.

Con la Federazione Italiana Cuochi, di cui lei è stato eletto recentemente Presidente Onorario, stiamo portando avanti l’iniziativa “Professione Cuoco” volta a raccogliere testimonianze di professionisti del settore come lei che stanno avendo difficoltà nel trovare personale di sala serio e competente o anche più semplicemente desideroso di lavorare. A riguardo la FIPE, sul finire dello scorso anno, segnalava la mancanza di circa 40 mila professionisti. Lei cosa può dirci a riguardo? Che giudizio darebbe a questa estate ormai conclusa? Ha avuto modo anche lei di constatare questi problemi o, anche con la sua brigata riesce ad instaurare rapporti così longevi?

Il mondo della ristorazione è decisamente particolare, fatto di passione ma indubbiamente sacrifici, per gli orari e i tempi che noi cuochi o camerieri dobbiamo rispettare e che spesso per un giovane possono risultare faticosi. Ogni tanto qualcuno rinuncia ma nella mia esperienza vedo che solitamente i ragazzi della mia brigata restano per 3-4 anni a volte anche 5. Quindi decidono di camminare con le loro gambe, ritornare nelle loro città di origine o hanno voglia di fare nuove esperienze in nuove cucine per crescere e ampliare le loro conoscenze. Credo che occorra vivere un po’ di tempo in uno stesso luogo per comprendere le dinamiche di una cucina.

Si parla tanto di mancanza di formazione nelle nuove generazioni, lei, prima di approdare a Piazza Duomo, ha navigato in lungo e largo sulla Terra, da Gualtiero Marchesi a Milano per poi volare all’estero dai migliori chef europei, poi nel 1996 avvia Kobe il ristorante di Marchesi e resta in Giappone per 3 anni, poi nel 2003 Ceretto con cui nel 2005 inizia il progetto piazza Duomo.

A suo avviso, cos’è cambiato tra la sua generazione e le nuove leve, cosa c’è di buono e cosa manca in Italia perché i ragazzi siano invogliati e desiderosi di vivere l’arte della cucina come scelta di vita?

Rispetto a quando io ho iniziato (erano gli anni…) la considerazione per il lavoro del cuoco e del cameriere è decisamente cambiato. La cucina si è evoluta ma sicuramente è cambiata la percezione sui ristoranti e sulla cucina. Il nostro lavoro era praticamente svolto in anonimato mentre adesso i cuochi riescono ad esprimere le loro idee di cucina in modo più aperto e diretto, il nostro è’ un ruolo di ambasciatori del gusto, quotidianamente lavoriamo con prodotti dei nostri territori e orgogliosamente raccontiamo attraverso le nostre preparazioni il nostro paese. I giovani ora sono più attenti e curiosi, viaggiano si informano e desiderano apprendere direttamente nelle cucine. Le scuole restano una componente importante però per la formazione e per creare le basi del loro futuro lavoro.

La pandemia probabilmente ha portato a riscoprire il proprio tempo, ed è una cosa che vale soprattutto per i giovani professionisti, il cuoco infatti è un mestiere che, oltre ad essere fisicamente impegnativo, comporta sacrificare weekend e festività. In aggiunta, la ristorazione è un comparto in cui si ha ancora un massiccio ricorso a pratiche come nero e dumping contrattuale, con offerte a ribasso ai danni del lavoratore. In questo nuovo scenario, lei ha adottato particolari formule per “alleggerire” il lavoro della sua brigata e andare incontro a queste nuove esigenze?

Io credo nel valore del rispetto di chi collabora soprattutto in un progetto corale come quello di creare un pranzo o una cena. Ogni persona che entra nelle nostre cucine viene coinvolta e le viene assegnato un compito. E assieme si cresce. Fondamentale, inoltre, per noi assistere i ragazzi, supportarli e offrirgli un’abitazione. Molti sono giovanissimi e lontani dalle loro città di origine, perciò, diventa importante per noi alleviare il pensiero di dover trovare una casa in un luogo così lontano dalle loro famiglie.

Di quante persone è composta l’equipe del suo ristorante? Che tipo di rapporto ha instaurato con la sua brigata?

Tra La Piola e Piazza Duomo siamo all’incirca 45 personeCon tutta la brigata ho un rapporto professionale bastato sul massimo rispetto. Siamo tutti coinvolti in un medesimo progetto ma affinché questo funzioni occorre che ognuno rispetti il proprio ruolo.

Veniamo all’ultima domanda, negli ultimi mesi la ristorazione sta vivendo un secondo momento di impasse dopo la pandemia, dovuto allo scoppio della guerra tra Russa e Ucraina, ovvero l’aumento del costo dell’energia che sta mettendo in crisi la stabilità economica italiana, il sistema imprenditoriale e tutto l’indotto occupazionale. In questo scenario, il settore della ristorazione appare sicuramente tra i più vessati. In che modo vi siete organizzati per riuscire a sostenere tutte queste difficoltà? Cosa si augura che lo stato faccia per la vostra categoria affinché possiate continuare a rappresentare l’Italia nel mondo, proprio come ha fatto lei negli ultimi 30 anni?

Sono domandi difficili a cui rispondere. Io parlo da un luogo decisamente fortunato e che negli ultimi anni è cresciuto moltissimo in termini di gradevolezza e consenso. Nelle Langhe gli appassionati vengono e ritornano a scoprire i vini e la cucina e sinceramente il lavoro non ci è mancato nonostante la situazione politica planetaria perché gli italiani ci hanno dato la loro attenzione e anche gli stranieri non sono mancati.

Se parliamo invece di crisi energetica noi sicuramente come tipologia di attività siamo molto penalizzati. Anticipando la crisi e per questioni di sostenibilità abbiamo già di molto ridotto le spese energetiche con l’ausilio di un sistema computerizzato che centralizza e distribuisce l’energia nelle varie aree del ristorante.

 

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