Giuseppe Ferraro e i temi delicati che cura il “Dipartimento Lavoro”
di Redazione
“Lavoro” è, da sempre, una parola importantissima, ricca di contenuti e di responsabilità e lo è, soprattutto, se si pensa alla professione del Cuoco. Tanto importante che FIC ha pensato bene di istituire negli anni un vero e proprio Dipartimento ad esso dedicato, che potesse affrontare tutte le tematiche e le problematiche legate al mondo della cucina e della ristorazione. Ad essere confermato alla guida di questo delicato Dipartimento è Giuseppe Ferraro, calabrese di origine, che ormai da anni vive e lavora in Toscana. Il percorso fondamentale che sta seguendo e curando con FIC riguarda temi come il “Cuoco Certificato” e la modifica del contratto di lavoro. Per questo, è chiamato anche a tessere e curare i delicati rapporti con le Istituzioni. Scopriamo meglio la sua figura attraverso la nostra intervista.
La nomina a responsabile nazionale del Dipartimento Lavoro significa essere investito di una grande responsabilità. Al di là della gioia e dell’onore di tale incarico, come sta pianificando questi anni di forte impegno che la attendono e che già sono in atto?
“Il mio obiettivo è quello di proseguire il consolidamento del dialogo con le Istituzioni affinché, attraverso la sensibilizzazione sulle problematiche del nostro settore, possano aiutarci a mettere in atto le tutele necessarie sia per quanto riguarda le risorse lavorative umane sia per quanto riguarda le tradizioni culinarie di tutto il territorio, ponendo l’accento sulla salvaguardia dei prodotti tipici unici che possediamo”.
Oggi la ristorazione sta cambiando molto rapidamente. Anche il settore che lei è stato chiamato a guidare e coordinare chiede risposte sempre più concrete e immediate. Quali sono, a suo avviso, le più urgenti e le tematiche da affrontare?
“Le urgenze da affrontare sono svariate, quella principale è il riconoscimento del ” Cuoco Certificato”, a tutela della salute e anche della consapevolezza del consumatore. Altro punto dolente è la modifica del contratto dei lavoratori; di fatto, quello del cuoco è un mestiere usurante, quindi è necessario intervenire sugli orari di lavoro, che attualmente non sono consoni a garantire una qualità di vita ottimale. Questo influisce certo sulla salute, sono state individuate varie patologie riconducibili proprio all’inadeguato stile di vita professionale, ma a risentirne è anche l’equilibrio familiare e possiamo intuire tutti quanto possa risultare insidioso e quanti disagi provochi l’innescarsi “del circolo vizioso”. In ultima analisi, possiamo ritenere che i turni lavorativi estenuanti e scarsi tempi di recupero non vadano a beneficio nemmeno del rendimento professionale”.
Muoversi e operare nel solco della Federazione Italiana Cuochi significa non essere mai da soli, avere attorno una grande squadra che ci sostiene e ci difende. Vivere in un contesto associativo come quello FIC significa anche sapere spendere bene il proprio tempo, tra la professione in cucina o a scuola, la vita privata e lo spirito federativo. Come si organizza in tal senso?
“Far parte della Federcuochi è indubbiamente un motivo di orgoglio personale e il rinnovo del mandato mi onora, ma al tempo stesso sento anche il peso delle responsabilità nel portare avanti il lavoro che abbiamo iniziato precedentemente. Sono grato per la fiducia riposta e cercherò di dare il mio apporto, anzitutto da addetto ai lavori, in quanto esercito la professione del cuoco da quando ero adolescente, quindi vivo in prima persona i pro e i contro del mestiere. Come ho detto precedentemente, i turni professionali sono limitanti perché non danno la possibilità di avere sufficiente tempo libero. Quel poco che riesco ad avere, lo spendo fra i vari impegni associativi a livello provinciale e nazionale. Cercando di ritagliare il giusto spazio per la mia famiglia ma, come dicevo, è purtroppo insufficiente, soprattutto per chi come me è genitore”.
Sappiamo che non è facile farlo in poche righe, ma ci descriva qui in breve la sua esperienza in FIC, dalla prima tessera sottoscritta fino ad oggi.
“Conservo gelosamente la mia prima tessera FIC, ricevuta quando ero ancora tra i banchi di scuola. La ritrovai dopo un po’ di anni, dimenticata in un cassetto a casa dei miei genitori e quel ritrovamento, con tutti i ricordi ad esso connessi, è stata la scintilla che mi ha avvicinato maggiormente alla Federazione, dandomi l’opportunità, nel tempo, di incontrare persone che hanno arricchito la mia vita, professionalmente e umanamente. Alcune non sono più fra noi fisicamente, ma il mio affetto e il loro ricordo restano immutati”.
Richiamando, infine, quel gioco di squadra di cui parlavamo, vuole lanciare un messaggio anche agli altri suoi colleghi FIC che ricoprono un ruolo analogo al suo?
“Cercare di unire le forze e, soprattutto, le conoscenze, per onorare il lavoro di chi ci ha preceduto, lasciandoci in eredità il nostro sapere, che abbiamo il dovere di trasmettere alle future generazioni”.