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Intervista ad Agostino Coppola, Presidente dell’Associazione Cuochi in Francia della FIC

Pandemia, caro-energia, crisi del personale: sono solo alcune delle problematiche che sta affrontando il comparto ristorazione italiano. Difficoltà che stanno portando sempre più giovani, imprenditori e lavoratori ad abbandonare la professione o a cercare nuovi incarichi e prospettive in all’estero. Ma se l’erba del vicino è sempre più verde, abbiamo voluto scoprire che aria tira al di là delle Alpi. Lo abbiamo chiesto ad Agostino Coppola, chef napoletano, da anni emigrato in Costa Azzurra: un decennio trascorso nella patria della baguette e delle escargot che gli ha fatto guadagnare la posizione di Presidente dell’Associazione Cuochi in Francia della FIC.

ACIF FOTO 2Oltre a gestire il comparto ristorazione di 3 club house, Coppola è il titolare de L’Aparté, due volte migliore ristorante di Francia, nell’incantevole Villefranche sur Mer, a 5 km da Nizza: una località della riviera francese che lo chef definisce come una piccola Positano, a dimostrazione di come le radici partenopee siano ancora parte della sua identità dentro e fuori dalla cucina.

Bentrovato e grazie per averci concesso quest’intervista. Ci racconta come è iniziata la sua avventura dietro i fornelli francesi?

Sono arrivato in Francia nel 2011, dopo aver girato un po’ l’Europa. Sono partito con un amico, con l’intenzione di fare qualche mese di prova, e dopo più di 10 anni sono ancora qui. In Francia si sta bene, si lavora bene: non parliamo solo di stipendio, ma di qualità della vita. Nizza poi è una città bellissima, mi ricorda un po’ Napoli sotto alcuni punti di vista come la vicinanza al mare e l’essere continuamente baciata dal sole.

Tra caro energia e le difficoltà nel reperire le giuste risorse, la ristorazione italiana sta decisamente attraversando una fase critica. In quanto Presidente dell’Associazione Cuochi in Francia della FIC, crede che il comparto francese stia vivendo le stesse problematiche del nostro Paese?

Per quella che è la mia esperienza, sto riscontrando lo stesso trend dei colleghi italiani per quanto riguarda il personale di sala e cucina. Le aziende che hanno collaboratori validi, se li tengono stretti e cercano di non farli scappare. Al momento si ha un fermento incredibile: nuove aperture, imprenditori che vogliono investire nel settore, un exploit di nouvelle cuisine e cucine gastronomiche; ma tutte questa effervescenza richiede personale che ahimè non c’è e quelle poche risorse disponibili giustamente scelgono le situazioni per loro più convenienti, esattamente come in Italia. Non nego che in più occasioni, alcune realtà di zona – che operano da anni nella ristorazione- hanno contattato i miei ragazzi per proporre loro una posizione: non li biasimo perché hanno notato la qualità e il livello che offriamo.

L’unica differenza che noto rispetto al nostro Paese è che in Francia abbiamo il nucleare quindi non abbiamo avuto, almeno ad oggi, il problema del costo dell’energia. Di conseguenza, non ci sono grandi cambiamenti rispetto ai mesi scorsi.

Nel suo ristorante possiamo trovare un piccolo angolo d’Italia nella splendida cornice della Costa Azzurra. Proponendo una cucina 100% italiana, e rimanendo in tema “crisi energetica”, l’aumento


dei prezzi del carburante e dei trasporti ha inficiato sui costi di importazione delle materie, come ad esempio il Parmigiano o altri prodotti di pregio?

Per quanto riguarda il costo della materia prima, abbiamo sicuramente notato un certo aumento. Solitamente, qui in Francia, i prezzi sono mediamente più alti rispetto all’Italia, ma se dovessi concentrarmi sui soli prodotti di importazione, l’inflazione sta senza ombra di dubbio pesando, soprattutto su alcuni prodotti come l’olio. Per mia fortuna, grazie anche all’Associazione, nel corso degli anni abbiamo creato una solida rete di partner e fornitori, per cui siamo riusciti a rimanere su dei prezzi buoni.

Tornando invece al tema personale, pensa che la pandemia abbia contribuito ad allontanare giovani e lavoratori dal settore?

La pandemia ha decisamente influito. Oggi molti ragazzi preferiscono fare un solo turno: o la mattina o la sera. Il doppio turno, in un ristorante normale, non puoi farlo più. Al momento gestisco 4 attività e solo in una di queste, continuiamo con il doppio turno e io mi ritengo più che fortunato perché ho molta disponibilità da parte del mio staff. L’incognita ora è prevedere cosa succederà l’anno prossimo: capire chi resta, chi parte e chi si aggiungerà.

Quali best practice dovremmo prendere ad esempio dai nostri vicini francesi per attrarre nuovi talenti ed ispirare i giovani ad una carriera di sala o cucina?

Magari prendere un po’ di più ad esempio il governo francese. Mi spiego meglio: con la FIC, siamo stati al Bocuse D’Or, uno degli eventi più importanti al mondo per quanto riguarda la ristorazione, e ho notato una scarsa partecipazione di tutta la compagine politica e mediatica. Ci siamo sentiti un po’ abbandonati, quando invece per la Francia era presente il Presidente della Repubblica. Quindi i giovani, vedendo il loro Paese sulla cresta dell’onda, sicuramente si sentono più ispirati e hanno voglia di intraprendere una carriera nel settore.

Come Associazione siamo molto coinvolti anche nelle scuole e posso affermare che brulicano di studenti. La mentalità verso la cucina qui in Francia è differente e viene promossa moltissimo anche dalla politica, cosa che in Italia non avviene. Ad esempio, il nostro Paese ha vinto il campionato mondiale della pasticceria e ha avuto davvero poco riscontro su giornali e televisioni, quando invece dovrebbe essere un vanto nazionale.

Un altro punto a favore della Francia riguarda l’intera esperienza formativa, a cominciare dagli stage: c’è una mentalità diversa e i tirocini si propongono in maniera differente. Sicuramente si ha più prospettiva e la visione è di un percorso nel lungo periodo. Non dico che anche qui non esistano pratiche come contratti con offerte a ribasso o il nero, ma ce ne sono davvero poche, perché il welfare francese fa sì che se lavori correttamente, puoi avere tanti vantaggi.

Oltre a gestire un ristorante di spicco, è anche uno chef privato che allestisce corsi di cucina a domicilio e show cooking originali. Cosa sa dirci in merito a questa nicchia di settore? Rivolgendosi a un target medio-alto, ha comunque riscontrato una flessione del mercato dovuta a una ridotta capacità di spesa?

 

No, per nulla. Ho avuto un riscontro più che positivo. Abbiamo avuto così tanto lavoro – tra matrimoni, feste private e piccoli eventi – che mi sono trovato a dover rifiutare degli incarichi, soprattutto a partire da giugno. Il mercato si è mosso molto quest’estate: ho assistito a un ritrovato desiderio di socialità e di vivere esperienze nuove da parte dei miei clienti. Allo stesso tempo, il livello medio si è alzato parecchio perché in più di un’occasione ci viene richiesto il piatto elaborato, da competizione. Una tendenza che ho notato anche con le mie altre attività, ragione per cui, con l’Associazione Cuochi in Francia, da ottobre abbiamo intrapreso un vero e proprio “tour” del Paese per promuovere le buone pratiche della cucina italiana.

Il motivo è che in tutti questi anni di lavoro sul territorio, ho constatato come a molte realtà della ristorazione piaccia affiggere l’insegna “ristorante italiano”, ma poi nel concreto, di italiano c’è veramente poco. Per questo motivo, in collaborazione con alcune istituzioni della ristorazione – come Carniato, uno dei migliori fornitori di vini italiani che opera in Francia dagli anni ‘50, Pregis, Rovagnati ed Olio Ranieri – fisseremo degli appuntamenti con tutti i ristoratori che espongono il tricolore per verificare la loro autenticità e allo stesso tempo introdurli a prodotti di qualità.

Siamo ambasciatori della cucina italiana e quindi abbiamo il dovere di portare avanti la nostra tradizione, i nostri valori e le nostre idee.

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