Il punto di vista di Lorenzo Pace, Presidente Unione Regionale Cuochi Abruzzesi
Dopo la fase inizia e più acuta della crisi sanitaria da Sars covid-2, il settore della ristorazione ha ripreso a lavorare in modo eccellente e quasi inaspettato. Purtroppo, però, si trova di fronte a due grandi problematiche: gli aumenti indiscriminati delle utenze e del costo delle materie prime, i quali non sono ingiustificati perché sono il frutto della sola speculazione finanziaria, e dall’altra la carenza del personale qualificato. Su questo versante bisogna prima di tutto fare una riflessione sul contesto socioeconomico che stiamo vivendo.
Il benessere diffuso, la conoscenza attraverso i social media di tutto ciò che accade e i cuochi che possiedono un buon livello culturale, portano ad avere esigenze nuove. Si ha più bisogno di socializzazione, di tempo da dedicare alla propria persona e agli interessi personali. Per questo, è molto più difficile accettare di vivere solo per lavorare e dormire.
Il settore della ristorazione nella maggioranza dei casi non è sano, e la crisi sanitaria da Covid-19 e quella economica ne hanno fatto esplodere le contraddizioni.
- Eccessivi esercizi genericamente denominati “ristorante”, anche per i ristoranti come avviene per gli alberghi andrebbe fatta una classificazione.
- Molti sono i ristoratori improvvisati e data la complessità del settore sarebbe opportuno che per avviare un’attività di ristorazione si avesse una certificazione di competenze e bloccata la liberalizzazione dell’avvio di un esercizio di ristorazione.
- Molto lavoro nero, la maggioranza dei lavoratori stagionali non hanno il giorno di riposo (i dati del 2021 nel settore stagionale dicono che il 73% dei contratti è stato irregolare).
- La maggioranza dei ristoranti hanno attrezzature obsolete che non permettono una crescita professionale.
- Spesso il personale non è in numero adeguato alla quantità di lavoro.
- Eccessivo stress psicologico e stanchezza fisica.
- Gli stipendi sono inadeguati a fronte degli orari, della responsabilità e dell’impegno richiesti.
- I dati FIPE rivelano che le motivazioni per le quali molti lavoratori abbandonano il settore della ristorazione sono riconducibili alle pesanti condizioni lavorative.
Le nefaste considerazioni, poi, del mediatico imprenditore della ristorazione Alessandro Borghese, il quale ritiene che “lavorare per imparare non significa essere per forza pagati”, non stimolano i giovani ad intraprendere la professione di cuoco e, oltre a non essere etico, è un regressivo ritorno ad una idea di apprendistato ottocentesco.
È risaputo che il mestiere del cuoco è un lavoro totalizzante che si svolge per passione, però i sacrifici e le rinunce, a differenza del passato che erano indennizzate economicamente, oggi vanno compensati con condizioni di lavoro armoniosi, stipendi adeguati, maggiori diritti, più formazione e maggiore tempo libero. Questo non vuol dire non amare la professione di cuoco, come alcuni astratti commentatori vanno sostenendo, ma significa lavorare meglio per dare il massimo di professionalità nel soddisfare i clienti.