Aldo Cursano: “La ricetta anti-Covid? Riprendiamoci i centri storici!”

Il presidente regionale FIPE si esprime sul momento 

delicato che sta vivendo la ristorazione nel post-lockdown

 

Aldo Cursano, presidente della Consulta regionale delle categorie settoriali di Confcommercio Toscana, è consigliere nazionale di Confturismo e membro del Consiglio di reggenza della Banca d’Italia – sede di Firenze. Tra le varie cariche, è anche presidente del Centro Storico di Firenze per la Confcommercio e portavoce degli imprenditori del “Patto per Firenze”.  Titolare di alcuni locali storici di Firenze e provincia (Kome, Caffè Le Rose, Oh Sushi) nel cuore del Capoluogo toscano, ci ha parlato di come è stata, ed è, difficile la ripartenza per le aziende del settore. Tutte le difficoltà che devono affrontare le piccole imprese e, soprattutto, come la mancanza di turismo nel nostro Paese abbia inciso nell’economia generale.

Qual è il suo parere sul post Covid nel mondo della ristorazione?

“Tragico, perché colpisce uno stile di vita che caratterizza la nostra società, compreso il nostro modo di stare insieme. La pandemia purtroppo è andata ad intaccare quelli che sono i luoghi della socialità. Quindi la caduta è stata pesante sul comparto e la vita del settore, infondendo una profonda paura nel consumatore a tornare nei luoghi di aggregazione”. 

Si è certamente imbattuto in colleghi in difficoltà dopo il Covid?

“Tantissimi. Soprattutto quelli più strutturati. Infatti, secondo noi gli ambiti piccoli e familiari non hanno risentito molto il colpo. Se prima per loro c’erano 30/40 coperti, ed adesso ne fanno 7 o 8, tutti i loro ricavi comunque rimangono in famiglia e non hanno quei costi legati al funzionamento dove i collaboratori rappresentano il costo più importante. In più, la mancanza di turismo ha trasformato i nostri centri storici in luoghi vuoti, rendendo la questione ancora più difficile”. 

Quanto hanno influito le misure di distanziamento sociale sulle attività? 

“Senza dubbio hanno ridimensionato le nostre attività. Hanno cambiato l’organizzazione dei posti, la cucina, il menu e chiaramente questo sistema nuovo ha ridotto in maniera importante la capacità produttiva e di accoglienza. Ciò nonostante la gente non viene e, se viene, lo fa in un modo estremamente estemporaneo, senza la possibilità in qualche modo di farci programmare il lavoro”. 

Si può dire di essere ripartiti?

“Abbiamo riaperto, ma non siamo ripartiti. La nostra positività ci ha fatto reinventare, abbiamo riaperto ma ogni giorno che passa si perde di più la speranza. Questo perché c’è un mercato interno del tutto fermo. Manca quello spirito di far capire ai nostri concittadini che oggi ritornare nelle botteghe, andare in una pizzeria o in un ristorante di medie capacità, vuol dire mantenere in vita quelle attività. Oggi è a rischio il nostro modello ed è proprio in questo momento che si determinerà la vita o la morte di queste attività, che hanno fatto la storia del nostro Paese. Bisogna portare le persone a vivere i centri storici, poiché c’è il pericolo che, se questo non accadrà, la nostra stessa identità morirà”. 

 

 

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