Ritorno al futuro: come lasciarsi alle spalle gli anni bui della pandemia ed entrare in un nuovo rinascimento culinario?
La parola a Giuseppe Ferraro, Responsabile del Dipartimento Lavoro della FIC e Presidente dell’Associazione Cuochi Senesi.
Attività agonizzanti, crisi del personale e crollo dei consumi è questa la fotografia di un settore, quello della ristorazione, che nell’offensiva al virus è stato definito dal Ministro Giorgetti come un compartimento “in trincea”. Sebbene l’allentamento delle restrizioni faccia ben sperare in una progressiva ripresa, la strada per tornare ai livelli pre-pandemia non appare così scontata.
Con un turismo in crescita e un’ormai insaziabile desiderio di socialità, il settore si trova ad affrontare nuove importanti sfide. “Il lavoro è scoppiato all’improvviso perché si ha voglia di recuperare quei due anni di inattività in una stagione” afferma Giuseppe Ferraro, Responsabile del Dipartimento Lavoro della FIC, eppure “molti si sono trovati a ridurre i posti all’interno delle proprie strutture poiché a corto di personale”. Sul finire dello scorso anno, la FIPE – Federazione Italiana Pubblici Esercenti denunciava la mancanza di circa 40 mila professionisti tra camerieri di sala, cuochi, aiuto cuochi, pizzaioli e baristi. Numeri che, per il Presidente dell’Associazione Cuochi Senesi, quest’anno potrebbero nascondere un’amara verità e rivelarsi ancora più elevati poiché, in un mercato dalle pratiche contrattuali più disparate, “ad oggi non sappiamo con certezza quanti cuochi lavorano nelle nostre cucine”. Ad aggravare la situazione, in calo i giovani che si dedicano alla stagione estiva, complici le scuole alberghiere che hanno ridotto le ore di esercitazione, mentre quelle di alternanza scuola-lavoro non hanno sortito l’effetto sperato. Ad aggiungere ulteriori tensioni, la pandemia ha fatto riscoprire l’importanza del proprio tempo, al punto che la professione del cuoco non sembra essere un’opzione attraente per molti lavoratori, scoraggiati da ritmi serrati e mansioni gravose.
In un mondo in cui parole come contagio, isolamento e lockdown sono prepotentemente ed irrimediabilmente entrare nel nostro quotidiano, anche il comparto del food non poteva che esserne influenzato, modificando tradizioni, tendenze ed abitudini: dal massiccio ricorso all’asporto, all’abbandono delle cucine in cerca di impieghi con un miglior rapporto qualità del lavoro – retribuzione. Una domanda sorge dunque spontanea: stiamo forse attraversando quello che potremmo definire come il Medioevo della ristorazione? Per quanto il futuro possa apparire come un percorso in salita, non si deve dimenticare che periodi di incertezza hanno sempre portato a una nuova era di cambiamento e trasformazione.
Basti pensare agli anni ’70: un’epoca di forti tensioni, segnata da terrorismo e scontri ideologici, ma che ha tuttavia ha ceduto il passo a una società che, lasciati alle spalle i timori e le insicurezze del passato, si apriva a nuove forme di edonismo, soprattutto in cucina. Con l’arrivo degli anni Ottanta, infatti, si assiste al trionfo dei sapori esotici, barocchi e voluttuosi, in cui la voglia di sperimentare, stupire ed azzardare ne era la protagonista. Un decennio che ha visto la consacrazione di grandi talenti, accomunati dalla passione per un mestiere che faceva della ricerca spasmodica del piacere una vera e propria arte. Ma se il ritorno a iconici piatti come i tortellini panna e prosciutto o i gamberi in sala rosa potrebbe fare inorridire i fanatici del bio e del km zero, c’è pur sempre una lezione da rispolverare ed apprendere.
Ora che la fascinazione dei celebrity chef e dei programmi tv si fa sempre più labile, come può la ristorazione tornare ad essere competitiva? Come uscire dunque dagli anni bui della pandemia e proiettarsi verso un rinascimento culinario fatto di nuovi talenti e sperimentazioni? Secondo Ferraro, instillando “la voglia di tornare a fare questo mestiere”, concedendo per prima cosa, a chi sceglie di intraprendere una professione dietro i fornelli, più tempo. In che modo? Ad esempio, adottando una pratica che nel resto di Europa è ormai prassi comune, la doppia turnazione: “una brigata entra per l’ora di pranzo e un’altra per l’ora di cena. Cosa che al momento, una piccola media impresa non può reggere”, se non introducendo dei significativi sgravi fiscali.
Non stupisce che in molti decidano, dopo un’esperienza formativa all’estero, di non fare ritorno. “I ragazzi vanno via che hanno già un’alta formazione rispetto ai canoni di altri Paesi”, ma per quanto apprendere nuove pratiche, tecniche e conoscenze possa essere positivo, è necessario che questi talenti tornino in Italia e l’unico modo è garantire loro standard qualitativi di vita elevati che vanno al di là della semplice remunerazione: meno ore a lavoro, più tempo da dedicare a famiglia e interessi, ma anche ambienti di lavoro sani. Risultato quest’ultimo raggiungibile attraverso la nuova certificazione per cuochi: una norma UNI, in cui vengono fissate competenze e criteri professionali per definire il profilo di chi lavora nelle cucine italiane. Con questa certificazione “non solo si dà maggiore sicurezza al lavoratore, ma anche al consumatore. Noi della FIC siamo prontissimi e siamo già certificati. Nei prossimi mesi supporteremo tutti i colleghi che non hanno ancora provveduto”. In tal senso, a sostegno della categoria, il bonus chef 2022: un credito d’imposta del 40%, fino ad un massimo di 6.000 euro, per spese legate all’acquisto di beni strumentali durevoli e corsi di aggiornamento. Del resto, non abbiamo che oggi per intraprendere azioni concrete e dare forma al domani.